a cura di Matteo Ghiringhelli FT DO

Leggendo un libro dal titolo “Il duello dei neurochirurghi” di Sam Kean mi sono imbattuto in un racconto sulla capacità plastica del cervello di trovare nuove vie di trasmissione dei segnali in seguito ad eventi lesivi.

Kean scrive: [Alla fine degli anni sessanta, un ragazzo sedicenne del Wisconsin di nome Roger Behm perse la vista a causa di una malattia degenerativa che colpì le due retine.

Quarant’anni dopo, si trovò a provare una macchina sostitutiva della visione… si trattava di una telecamera in bianco e nero montata sulla fronte di Behm e collegata con vari fili alla sua lingua, su cui si appoggiava grazie a un elettrodo verde rettangolare poco più grande di un francobollo. Le immagini catturate dalla telecamera venivano passate all’elettrodo, che trasformava ogni pixel in una piccola scarica elettrica. La sensazione sulla lingua era simile a quella delle bollicine di una bevanda gassata… in breve tempo riuscì a capire la differenza tra oggetti fermi e in movimento… arrivò a riconoscere i loghi delle squadre di football americano dipinti sui caschi dei giocatori… L’uomo che aveva inventato il macchinario si chiamava Paul Bach-y-Rita ed era diventato neuroscienziato per strani casi del destino… Bach-y-Rita e colleghi, nel tempo, hanno inventato altri strumenti di sostituzione sensoriale.

Il successo forse più eclatante del gruppo è stato l’aver restituito a una paziente il senso dell’equilibrio.

Nel 1997 a Cheryl Schiltz, donna trentanovenne del Wisconsin, era stata somministrata della gentamicina (un antibiotico) a seguito di un’isterectomia. Questo farmaco è efficace nel combattere le infezioni ma ha la cattiva abitudine di rovinare le piccole ciglia dell’orecchio interno che servono al senso dell’equilibrio…
se queste cellule non funzionano, come nel caso di Schiltz, i centri dell’equilibrio (detti nuclei vestibolari) vanno in palla e iniziano a mandare segnali casuali ai muscoli, il che si traduce in ondeggiamenti e spasmi. Le vittime della gentamicina si sentono sempre sul punto di cadere, anche quando sono sdraiate, come se fossero permanentemente ubriache… Schiltz, scettica sulle prime, lasciò comunque che il gruppo di Bach-y-Rita le piazzasse in testa un caschetto da cantiere verde che proteggeva vari componenti elettronici.

Cheryl Schiltz

Come nel caso di Behm, l’apparecchio era dotato di fili che collegavano il casco a un elettrodo posto nella bocca della paziente. Quando era ben dritta e ferma sentiva un pizzicore al centro della lingua. Se girava abbassava la testa, il segnale si spostava in avanti, indietro o di lato. Dunque doveva correggere la postura fino a sentire il pizzico al centro… con la pratica l’equilibrio migliorò, e a un certo punto si tolse anche il casco protettivo.

Il successo forse più eclatante del gruppo è stato l’aver restituito a una paziente il senso dell’equilibrio.
Schiltz reimparò a saltare la corda e ad andare in bici.] ¹

Cheryl Schiltz correzione postura

Sempre Kean nel suo libro riporta che gli esperti non sono tutti concordi circa il modo in cui gli apparati di sostituzione sensoriale riescano a riprogrammare il cervello di pazienti come Behm e Schiltz. [Un’ipotesi sensata è che queste
macchine, reindirizzando il flusso informativo dalla lingua ai centri della visione o dell’equilibrio, sfruttino strade e circuiti già esistenti] ² . Come succede nel caso della sinestesia indotta da LSD, nel cervello ci sono un sacco di canali sotterranei, inattivi ma pronti a risvegliarsi, che potremmo utilizzare.

Correlazione vertigini e neuroscienza

Nella nostra pratica quotidiana, spesso ci capitano pazienti con disturbi dell’equilibrio, una corretta indagine clinica può permetterci di riconoscere l’origine causale dei sintomi. La lettura di questo racconto ci offre due spunti:


– il primo è di “accendere una lampadina” su quanto, a volte, i farmaci per quanto necessari, possano influenzare negativamente la capacità di equilibrio del paziente, avere il dubbio clinico è sempre il primo passo per riconoscere il nesso causale con la vertigine del nostro paziente;


– il secondo è di quanto la nostra influenza come operatori, attraverso le terapia manuale e la riabilitazione, possa permettere al paziente di recuperare al meglio riorganizzando gli stimoli sensoriali a livello neurologico, creando nuovi network e nuove strade nei meandri del cervello umano.

Bibliografia:

¹ ² Il duello dei neurochirurghi – Sam Kean – Adelphi Edizioni – 2014
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15011268